Epson ha messo a disposizione la propria tecnologia e competenza per affiancare i promotori del progetto “L’Ultima Cena per immagini – La fotografia racconta la storia del Novecento” mostra allestita dal 28 maggio all’8 dicembre, presso il Museo del Cenacolo Vinciano, a Milano.
Quest’ultima racconta in decine di stampe digitali “una storia appassionante e a tratti avventurosa”, dal bombardamento aereo del 1943 alle grandi campagne di restauro del Novecento.
Come riferito in una nota ufficiale da Silvia Macchi, Marketing Manager di Epson Italia: «Anche in questa occasione, le soluzioni Epson si sono rivelate un elemento essenziale. Gli scanner hanno permesso di digitalizzare e in alcuni casi anche di rendere fruibili originali molto delicati, le stampanti di riprodurli in maniera precisa perché tutti possano conoscere e apprezzare questa straordinaria vicenda».
Il progetto di digitalizzazione visto da vicino
Il materiale fotografico prodotto sull’Ultima Cena in svariate epoche ha un’importanza fondamentale per la memoria e la storia di cui fa parte: racconta infatti le vicissitudini che ha subito, ad esempio durante i periodi di guerra, ma anche le opere di conservazione e restauro e le iniziative per la sua valorizzazione.
Migliaia e migliaia di immagini scattate con varie tecniche, disponibili su supporti di tipo, consistenza e fragilità differenti e conservati nell’Archivio Fotografico Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Milano. Per salvaguardare questo patrimonio storico-artistico, il Polo Museale Regionale della Lombardia ha affidato il progetto di digitalizzazione, con un primo blocco di 1.000 immagini da acquisire in breve tempo, alla Fondazione Cineteca Italiana che proprio in questo genere di recupero vanta una notevole e pluriennale esperienza.
Con due scanner Epson, in sole cinque settimane, sono stati acquisiti tutti gli originali, realizzati con tecniche fotografiche caratteristiche dell’epoca in cui sono stati scattati (albumine, gelatine ai sali d’argento su carta baritata o politenata, perfino aristotipi di fine ‘800), e in formati compresi fra il classico 18×24 cm e il 40×50 cm.
Come riferito in una nota ufficiale da Maela Brevi, catalogatrice per Fondazione Cineteca Italiana: «Il nostro compito è stato facilitato non solo dall’intuitività e semplicità d’uso degli scanner ma anche dalla presenza di varie funzioni che ci hanno permesso di velocizzare il lavoro di acquisizione: dall’anteprima di immagine per valutare il risultato finale alle opzioni di miglioramento dell’immagine digitalizzata, come l’eliminazione automatica dei graffi e della polvere».