Secondo uno studio Doxa quasi due terzi della popolazione italiana è intenzionata a investire nella smart home, in linea con il trend di crescita segnalato a inizio anno dall’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano. Tuttavia, pur riscontrando la presenza di una buona varietà di oggetti “intelligenti” tra le mura domestiche, Doxa segnala che il più delle volte tali dispositivi non sono componenti di un vero e proprio sistema e “non parlano” tra loro, rendendo necessaria la condivisione di dati personali (recapito email, nome e cognome, designazione del luogo d’impiego del dispositivo – ad esempio “finestra salotto” – oltre a informazioni sull’infrastruttura di rete domestica) su più piattaforme per poter gestire i singoli apparecchi attraverso una pletora di app dedicate.
Una pratica fautrice non solo di una inutile complessità ma anche di timori in merito alla condivisione di informazioni riservate, che rischia di allontanare l’utente dall’automazione domestica: sempre secondo la ricerca Doxa infatti il 24% degli utenti si è detto in difficoltà con l’utilizzo e la gestione di oggetti smart e secondo l’Osservatorio IoT il 51% degli intervistati risulta preoccupato per i rischi legati alla privacy e ai cyber attacchi da parte di malintenzionati. Due problemi che possono frenare lo sviluppo di un mercato tutto da conquistare come quello italiano in cui quasi il 40% della popolazione fruisce già di dispositivi smart, e dove, secondo Doxa, il 25% risulta aver acquistato sensori per porte e finestre, telecamere, videocitofoni e serrature intelligenti, il 10% si è dotato di prodotti di climatizzazione e riscaldamento smart, e il 5% impiega lampadine e prese elettriche intelligenti.
Alla luce di questi dati, il potenziale per i produttori che negli scorsi tre anni si sono affacciati e in futuro si affacceranno al mercato della domotica in Italia è enorme, ma appare vincolato all’offerta di prodotti che assicurino quello che gli utenti si aspettano: la semplificazione dei processi quotidiani, una maggiore tutela della propria abitazione e un risparmio sui consumi pur avvalendosi di dispositivi intelligenti di più produttori, senza dover rivelare troppo di sé a innumerevoli terzi e senza necessariamente affrontare investimenti ingenti.
Desiderata che non solo trovano totale corrispondenza nelle nuove normative sulla privacy (aka GDPR) a cui non tutti i fornitori possono o vogliono adeguarsi, ma anche un crescente riscontro presso i produttori che hanno compreso l’importanza di soluzioni domotiche costituite da oggetti smart di più vendor, interoperabili tra loro e che necessitano di una sola applicazione per la gestione dell’intera infrastruttura, come nel caso delle numerose aziende che hanno puntato sullo standard radio DECT Ultra-Low-Energy (ULE) per la smart home. I dispositivi certificati dalla ULE Alliance si possono combinare tra loro in tutta semplicità ma non solo. E’ possibile avvalersi anche di apparecchi non certificati se supportano il protocollo HAN-FUN, cosa che consente all’utente di liberarsi dalla dipendenza da un singolo produttore e della babele di app per la gestione di diverse componenti, riguadagnando il pieno controllo dell’intera infrastruttura, telecomandabile addirittura semplicemente premendo un tasto del telefono cordless di casa.