A una decina d’anni dall’adozione del termine “smart city”, anche nella celebre e autorevole Enciclopedia Treccani, il nostro Paese – per una volta – non è il fanalino di coda dell’Unione Europea. L’idea di una città caratterizzata dall’integrazione tra strutture e mezzi avanzati tecnologicamente, con una gestione tale da garantire una crescita sostenibile e continuativa della qualità della vita dei cittadini, è infatti entrata ormai nei piani di sviluppo di molte città.
Milano è stata l’apripista, con le “Linee Guida per uno sviluppo intelligente” pubblicate nel 2014. Nello stesso anno l’Unione Europea ha messo lo sviluppo delle smart cities tra gli obiettivi del Set-Plan in Horizon 2020, andando a definire nel dettaglio le politiche da adottare. In particolare per quanto riguarda lo sviluppo di energie sostenibili con obiettivi particolarmente ambiziosi, anche alla luce dell’attuale interesse per le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Tanto che entro il 2050, Bruxelles punta a ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera del 90 per cento. Come? Sviluppando nuove metodologie e tecnologie per la produzione e l’uso di energia a basse emissioni di anidride carbonica.
Connessi e sicuri – I molti interventi realizzati nelle principali città, anche grazie a una serie di fondi messi a disposizione soprattutto dall’Unione Europea nell’ambito di una strategia che abbraccerà tutto il biennio 2019-2020, hanno fatto maturare una sensibilità nuova, ma tutt’altro che secondaria. Come garantire, allo stesso tempo, i vantaggi indubbi derivanti dal vivere in una città che pensa e si aggiorna, modellandosi sui bisogni dei cittadini, con la necessità non superabile di mantenere certi standard di sicurezza?
Per arrivare a un modello di smart city efficiente, che riesca a garantire un adeguato livello di protezione dei dati sensibili dei cittadini, c’è bisogno d’integrare più tecnologie. Dalla crittografia delle informazioni alla gestione accurata delle reti informatiche, ed è qui che il settore privato può dare una grossa mano, con il know how acquisito grazie alle ingenti somme investite nel settore, a partire dalla sicurezza dei dati come oggi avviene nelle game room e nelle aziende di Big Data.
L’obiettivo quindi è quello di accompagnare, all’aggettivo smart, anche safe, sicura. Uno dei primi aspetti su cui ci si sta interrogando riguarda è il concetto di safety-emergency, ossia la possibilità di utilizzare la tecnologia per predisporre e aggiornare, quasi in tempo reale, efficaci piani di emergenza cittadina, unendo i dati e le abilità di realtà diverse, come Protezione civile, Comune, soccorso sanitario e forze dell’ordine. In questo senso la tecnologia è già oggi un asset fondamentale, a partire dall’utilizzo di sensori IoT per analizzare eventi estremi (ma purtroppo sempre più frequenti) come alluvioni, incendi, terremoti. I sensori condividono i dati con una sala operativa, in grado di elaborare ogni input in tempo reale per ipotizzare allerte preventive. In questa partita entrano anche i sistemi APR (i droni), capaci di validare o invalidare direttamente sul posto i modelli messi in campo a livello teorico.
Rischio malware – L’altro grande ambito di sicurezza è quello legato alla vulnerabilità dei sistemi informatici utilizzati. A fare scuola, al riguardo, è il caso di Lappeenranta, a fine 2016, quando una parte della città finlandese ha subito un attacco Ddos da parte di alcuni hacker che hanno manomesso così il sistema interconnesso di riscaldamento, rischiando di provocare diverse vittime per assideramento. Da allora la situazione non è di certo migliorata, tanto che secondo l’Onu gli attacchi malware verso dispositivi Iot connessi in rete (riscaldamento, ma anche router ed elettrodomestici) sono quadruplicati tra il 2017 e il 2018.
Ancora più grave il rischio che potrebbe riguardare il mettere in rete intere infrastrutture pubbliche, come ospedali o centri sanitari, uno dei settori dove più forte è la spinta, pubblica e privata all’uso delle tecnologie per migliorare la qualità della vita, ma pure centrali elettriche e la gestione del traffico veicolare. Il rischio di attacco, in questo caso, è ancora più alto e potenzialmente letale. Questo non significa di certo bloccare lo sviluppo delle smart cities, ma dotarsi di tutti quegli strumenti e professionalità in grado di ridurre quanto più possibile questi rischi.
Partendo comunque, da una certezza: il rischio zero non esiste.