Tutti noi stiamo facendo i conti con la pandemia globale di coronavirus ma uno dei settori più impattati è senza dubbio quello del retail, dove la chiave per vincere si sta rivelando sempre di più la digitalizzazione. La digital transformation in ambito retail si traduce nella messa a disposizione di tecnologie che facilitino il processo d’acquisto del cliente, velocizzandolo e creando un’esperienza di acquisto personalizzata e di valore.
Proprio nell’ambito della consulenza nel campo del retail opera dall’inizio del nuovo millennio Kiki Lab, un’eccellenza Made in Italy ma molto attiva anche a livello internazionale. Il suo CEO & Founder, Fabrizio Valente ci ha spiegato come sta evolvendo il mondo del retail, un mondo dove sempre di più la tecnologia si sposa con la competenza umana.
“La pandemia globale che stiamo attraversando ha creato un’accelerazione molto forte del processo di digitalizzazione. In ambito retail, la domanda di servizi digitali è cresciuta molto e a ritmo talmente accelerato che non sempre le aziende hanno avuto la reattività necessaria per farvi fronte. Si può assistere comunque a una forte polarizzazione: da un lato i settori come la Grande Distribuzione Organizzata, i supermercati e gli ipermercati, ma anche i consumi legati alla casa (come ad esempio Ikea) hanno subito una forte accelerazione, con la necessità di adeguarsi a un mondo sempre più digitale, mentre altri settori, come la ristorazione, l’abbigliamento e così via, hanno visto un abbassamento dei consumi.
Una piccolissima parte di retailer ha saputo reagire velocemente investendo in innovazione, mentre la maggior parte si è arenata sui modelli di vendita tradizionali, andando così incontro a pesanti difficoltà.
Oggi diventa fondamentale investire per essere in regola con le norme anti-covid ma bisogna anche investire per cambiare il proprio modello di business in maniera tale da riuscire a rispondere alle vere esigenze dei consumatori. Il punto focale è quello della creazione e del mantenimento di un rapporto di fiducia con i consumatori: coltivarlo capendone i reali bisogni e dando risposte concrete, complete e puntuali è il primo step per acquisire nuove quote di mercato e poter ripartire meglio dei concorrenti”.
Parliamo in senso più stretto di digitalizzazione. Come si declina il concetto di evoluzione digitale in relazione al mondo del retail?
“Parlando di digitalizzazione del retail la prima cosa che viene in mente è l’e-commerce, ma la digital transformation va molto al di là di questo. Sono pochi i retailer che fanno i soldi con l’e-commerce e gli investimenti da fare sono molti. Il punto è che i clienti hanno delle attese molto alte, abituati come sono al modello Amazon, e poter offrire gli standard richiesti significa investire davvero molto.
Per cui digitalizzazione oggi significa soprattutto una cosa diversa: lo SMART RETAIL, un retail che diventa intelligente. Lo smart retail si basa sull’info-commerce cioè sulla possibilità per il potenziale cliente di reperire informazioni attraverso i canali digitali per decidere cosa acquistare già prima di entrare in negozio. Una tendenza che va di pari passo agli standard sanitari richiesti perché oggi, in fase di pandemia, le persone cercano di stare il minor tempo possibile in negozio. È perciò fondamentale, e questo sta prendendo piede anche in Italia, informarsi in maniera preventiva”.
Ci può fare qualche esempio concreto?
“Un caso di successo tutto italiano è quello di Elena Mirò, una catena di boutique del Gruppo Miroglio dedicata ad un target di donne curvy e che sta investendo molto in innovazione digitale. Tra le iniziative che ha messo in campo c’è la possibilità di iniziare a visionare tutto l’assortimento del marchio sui canali digitali, potendo poi prenotare su appuntamento non solo il camerino in negozio, ma anche una vera e propria personal shopper che riceve il cliente in negozio e mostra al cliente la preselezione dai capi da lui individuati come di interesse online, con indicazioni su taglie, colori, modelli. In questo modo i tempi dello shopping si accorciano, si sta meno in negozio e si offre al consumatore un’esperienza d’acquisto a valore aggiunto, più personalizzata, consulenziale, e, soprattutto, che lo pone al centro”.
Possiamo definire tutto questo Smart & Safe retail?
“E’ proprio il termine giusto: il retail va nella direzione di preservare da un lato la sicurezza, come i tempi storici in cui viviamo impongono, e dall’altro si velocizzano i tempi dello shopping. Sempre portando l’esempio di Elena Mirò, sono stati creati all’interno dei negozi dei corner dove ciascuna addetta opera come personal shopper con un servizio personalizzato e assistito, su appuntamento, con il contingentamento delle persone in negozio. I nuovi strumenti tecnologici, quindi, vengono incontro sia alle esigenze del consumatore che ai nuovi bisogni di sicurezza.
Un altro esempio è quello di OVS”.
Ci spieghi…
“OVS è un marchio che ha un posizionamento più basso ma che comunque sta lavorando in maniera molto intelligente offrendo, già prima della pandemia, la possibilità di prenotare il camerino con i capi già selezionati online: una formula self-service ma che offre comunque un’esperienza d’acquisto facilitata, personalizzata e velocizzata”.
Quali sono le sfide che ancora le imprese italiane devono affrontare?
“Senza dubbio il tema più forte è quello della cross-canalità e quindi di come riuscire a integrare canali fisici e digitali: non solo devo facilitare la visita in negozio, ma devo anche intervenire al di fuori del negozio per semplificare il processo d’acquisto”.
Ad esempio?
“Un esempio calzante è quello del LIVE STREAMING SHOPPING, che sta già sperimentando Elena Mirò: un live commerce, una versione 2.0 delle televendite dove il cliente, magari dal negozio online, ha la possibilità di entrare in contatto con una consulente presente in negozio che mostra, via webcam, quali sono i capi disponibili, le caratteristiche tecniche dei prodotti (molto utile ad esempio per la vendita di prodotti tecnologici) e aiuta il cliente ad orientarsi nella scelta. In questo modo si hanno delle consulenze personalizzate dove il consumatore si fa guidare senza muoversi da casa”.
Ma quindi anche la figura del venditore si evolve…
“Certo. Entra in gioco un nuovo modo di vendere e la formazione diventa fondamentale. La pandemia impone di partire da zero e reinventarsi: una cosa è servire il cliente in negozio e un’altra è avere il cliente in videochiamata o comunque al computer mentre navigava sull’e-commerce. Bisogna interagire con lui in maniera nuova e conforme a questi nuovi standard, essendo anche in grado di stimolare il cliente, magari spingendolo ad aprire anche il suo guardaroba, per vedere cosa già possiede e studiare possibili abbinamenti o comunque per suggerire quali capi meglio si sposano con quanto già in dotazione. La consulente in questo modo dà consigli in maniera veloce e mirata. Ma per fare tutto questo la formazione è essenziale”.
Focalizzandoci meglio sulla figura del retailer… che caratteristiche deve avere per avere successo?
“La regola per il retailer è sempre la stessa: mettersi nei panni del proprio cliente target. Occorre chiedersi cosa si aspetta e sviluppare un assortimento di prodotti e servizi in linea con le sue aspettative e richieste.
Per fare questo, visto che ciascun cliente ha sfumature di aspettative diverse, è necessario sfruttare il CRM, la personalizzazione dell’approccio col cliente. Grazie a sistemi di carta fedeltà, sistemi Wi-Fi e di tracciamento dei clienti il retailer riceve tante informazioni che dovrà mettere a fattor comune per offrire un servizio su misura. La grande sfida è quella di riunire tutte le informazioni del singolo cliente generate tramite i diversi touch point. Arrivo così a definire una SINGLE VIEW: una vista a 360 gradi delle interazioni del cliente con il mio brand e il mio negozio, arrivando a conoscerlo progressivamente meglio e dando delle risposte concrete alle sue aspettative, al suo stile, ai suoi bisogni. Ovviamente nel pieno rispetto della privacy e del GDPR.
E qui giocano un ruolo fondamentale i sistemi di machine learning, l’intelligenza artificiale e così via, ma anche il ruolo umano è fondamentale. Le persone restano al centro e quindi, ripeto, la formazione ha un ruolo molto forte”.
Spieghiamo meglio il ruolo della formazione..
“Abbiamo visto che il personale che lavora nei negozi deve cambiare, adeguarsi sfruttando i mezzi a disposizione. La formazione è quindi fondamentale.
Noi di Kiki Lab già da tre anni abbiamo lanciato una metodologia di progetti di coinvolgimento da parte degli addetti nei negozi attraverso i così detti INNOVATION LAB. Si tratta di laboratori di innovazione dove gruppi di lavoro costituiti dagli addetti dei vari negozi collaborano per mettere a fattor comune le loro esperienze e per portare idee concrete su come intervenire per soddisfare al meglio i bisogni del cliente. Sono gruppi che lavorano da remoto, a distanza: persone diverse da tutta Italia si confrontano per lanciare nuove idee per migliorare l’esperienza dei clienti in maniera concreta.
Oltre ad aiutarci a trovare le risposte giuste per i vari clienti questi laboratori sono anche dei percorsi di forte motivazione delle persone. L’addetto si sente gratificato e valorizzato”.
Il negozio invece in futuro come sarà?
“Il negozio non deve più essere solo uno spazio fisico: il personale deve essere formato e capace di guidare il cliente a seconda dei suoi bisogni. Dall’altro lato devono scendere in campo una serie di tecnologie che aiutino a preparare l’esperienza di acquisto, a facilitarla e velocizzarla.
E’ importante sottolineare che il mondo digitale deve però umanizzarsi studiando delle applicazioni dove il ruolo del personale è centrale. Si pensi al live commerce di cui abbiamo parlato prima”.
Si tratta spesso di tendenze che arrivano dall’America e più in generale dal mondo anglosassone. L’Italia presenta delle peculiarità?
“Le tendenze anglosassoni hanno spinto sempre moltissimo per il self service, ma in un contesto italiano questo non è l’ideale. Inserire molti schermi in negozio, lasciando al cliente fare da solo, non è una scelta vincente per l’Italia, dove le persone vogliono avere una relazione umana.
La soluzione che abbiamo promosso noi prevede piuttosto che la distribuzione nel negozio di totem interattivi e di schermi si sostituisca con la possibilità di fornire di smartphone e tablet direttamente gli addetti, così che sia possibile per loro mostrare sfilate, far vedere i modelli indossati, le presentazioni dei capi: la tecnologia c’è, ma l’addetto agisce in sinergia col cliente adottando una modalità di storytelling molto forte.
La tecnologia poi permette anche cose più pratiche, come la possibilità di vedere la disponibilità di una certa merce in magazzino e così via. La fluidità dell’esperienza di acquisto è importantissima: il cliente vuole essere libero di scegliere di volta in volta i canali dove informarsi e dove vuole acquistare, e deve poterlo fare in libertà attraverso un ampio ventaglio di possibilità: acquisto in negozio, acquisto in negozio ma con spedizione a casa, acquisto online solo per fare degli esempi”.
Parliamo ora di Kiki Lab. Come declinate voi il concetto di retail?
“Kiki Lab è una realtà italiana, bresciana, che conta 7 dipendenti ed è stata di recente acquisita dal gruppo Promotica.
La parola ‘Kiki’ in giapponese significa: ‘rottura di un equilibrio statico’ e riassume in sé il concetto di rischio e della possibilità di fallire ma anche la possibilità di crescere, volare e avere successo. Dipinge quindi la realtà odierna: dove chi è bravo ha la possibilità di crescere a scapito dei concorrenti che rimangono indietro nel rispondere alle richieste dei clienti.
Il ruolo di Kiki Lab è quello di affiancare le aziende e fare luce su qual è la realtà e la prospettiva del mercato, guidandole nella scelta degli investimenti più giusti e mirati per migliorare le relazioni con il cliente e di conseguenza le performance di vendita del brand.
Con l’ingresso nel gruppo Promotica abbiamo ampliato ancora di più i nostri servizi lanciando progetti innovativi come quello degli Innovation Lab”.
Avete in serbo altre novità?
“Abbiamo lanciato un nuovo servizio che si sposa alla perfezione anche con l’industria di marca che prevede una soluzione alla mancate realizzazione di fiere ed eventi dovuta al periodo di pandemia. L’idea è quella di proporre uno showroom virtuale con prodotti che vengono digitalizzati in 3D ad alta risoluzione. Questo consente all’azienda di restare in contatto con distributori, concessionari e clienti finali illustrando loro i prodotti e permettendo di fare gli ordini in tutto il mondo, con anche la possibilità di interagire a distanza. Un concetto molto interessante anche legato al declino trasversale delle fiere di settore”.
Kiki Lab è anche membro, unico italiano, di Ebeltoft Group, che lei ha contribuito a far nascere nel 1990, un network che raggruppa 18 società di consulenza per il retail in tutti i continenti. Ci spieghi qualcosa in più…
“Mi piace definire Kiki Lab come una boutique della consulenza, una piccola realtà ma che in virtù della sua partecipazione a Ebeltoft Group consente di supportare i clienti anche a livello internazionale. Con il consorzio è possibile inoltre avere un osservatorio privilegiato su tutte le tendenze in ambito retail. Retail Observa ci dà un aggiornamento continuo dei trend e dei casi di successo a livello mondiale”.