Il percorso verso Print4All 2022, la manifestazione che si terrà a Fiera Milano dal 3 al 6 maggio continua, scandito dai numerosi appuntamenti di confronto e formazioni organizzati da Acimga e Argi, le due associazioni promotrici della manifestazione. Gli scorsi 15 e 16 settembre è stata la volta della Future Factory 2021, l’appuntamento annuale organizzato da Acimga per riunire tutti gli shareholder della filiera del printing insieme a esperti di economia, trend, normative per avviare una discussione aperta sulle potenzialità e i nuovi trend che il mercato è chiamato a seguire.
La due giorni “Il domani al servizio dell’uomo”, che ha visto presenti più di 150 operatori in sala e 700 connessi in streaming, ha acceso i riflettori sulla sostenibilità e il ruolo delle persone nel mondo del printing, facendo emergere sensibilità, esigenze, potenzialità, che saranno poi messi al centro della proposta fieristica e formativa di Prin4All 2022.
LO SCENARIO: VERSO NUOVE ECONOMIE
Il cambiamento in atto, indirettamente accelerato dalla pandemia, va affrontato da tutte le componenti della filiera, puntando su valori – la sostenibilità e le persone – che ormai lo stesso consumatore valuta come determinanti nel processo di acquisto.
Si tratta di una evoluzione che va monitorata e cavalcata con una nuova logica collaborativa e di continuo confronto. Un esempio di questo approccio “aperto” è la collaborazione tra Acimga e VDMA, le due associazioni che rappresentano i produttori di due Paesi – Italia e Germania – espressione di eccellenza manifatturiera. Dalla volontà di collaborare delle due associazioni sono nati un tavolo di confronto ed il relativo patto per l’export, per traghettare aziende produttrici, associazioni e portatori di servizio dei due mercati verso una visione unica di ripresa.
GLI SVILUPPI FUTURI E LA VIA ITALIANA PER L’INNOVAZIONE
In meno di cinque anni, la digitalizzazione avrà un grosso impatto sul modo di fare impresa e di produrre, sostituendo le mansioni più routinarie e valorizzando l’intelligenza e l’inventiva dell’uomo. Grazie allo sviluppo dell’industry 4.0, passeremo dai 35 mld attuali a 75 mld di device collegati in rete.
Questo non vuol dire che cambierà il numero delle risorse impiegate nel settore, ma dovrà cambiare il loro modo di lavorare. Affrontare la sfida della digitalizzazione vuol dire formare le persone per portarle a lavorare in modo diverso, perché non ci saranno più confini, né fisici, né temporali. Le macchine saranno connesse e interrogabili 24/7: un grande vantaggio competitivo e produttivo, se ci si farà trovare pronti.
L’Italia, in questa fase, ha l’opportunità di diventare protagonista del cambiamento, ma per farlo deve dotarsi di un suo modello, che non può essere – per le nostre caratteristiche culturali – né quello americano (estremamente concorrenziale) né quello cinese (molto verticistico). Serve una via italiana per l’innovazione, orientata a una partecipazione più ampia di tutti gli attori della filiera intorno alla svolta che stiamo vivendo.
Oggi il concetto di azienda di successo è cambiato. Siamo passati dai colossi petrolchimici alle grandi piattaforme digitali, che rappresentano le nuove aziende top della nostra economia. Questo nuovo modo di fare business investirà tutti i settori, eliminando le barriere tra produttori, distributori e consumatori. È una economia a spirale, in cui bisogna rileggere i rapporti e le relazioni.
LA SFIDA DELLA SOSTENIBILITÀ
Insieme alla digitalizzazione, la sostenibilità è il cambiamento maggiore da monitorare, perché impatta su tutti gli anelli della filiera, dal produttore al consumatore finale. Una sfida urgente, visto che, la responsabilità di impresa è oggi sempre più una leva di credibilità verso gli stakeholder, investitori in primis.
Anche il consumatore oggi è sempre più consapevole: secondo i dati Ipsos in 10 anni si è passati dal 7% al 39% di consumatori che sanno cos’è la sostenibilità, ma c’è anche maggiore sensibilità e impegno del singolo nella crescente ricerca di comportamenti “virtuosi”.
Per raggiungere obiettivi di sostenibilità – che non va più solo intesa come impatto sull’ambiente, ma si allarga al concetto di benessere e di inclusione delle diversità – occorre una collaborazione costante tra i diversi rappresentanti della supply chain, ma anche tra concorrenti. Il modello del singolo dovrà intersecarsi con il lavoro di altri.
La transizione avrà costi importanti, di cui bisognerà tenere conto, ma ormai non è più rimandabile e la tecnologia può diventare l’alleato migliore per gestire al meglio risorse e processi.
Secondo Nomisma, a fare la differenza nella crescita dei livelli di sostenibilità potrà essere il packaging, primo touch point per il consumatore che cerca prodotti sostenibili. Il 55% dei consumatori cerca infatti prodotti senza over-packaging e il 41% lo vuole con materiale riciclabile. Inoltre, ben l’81% dei consumatori cerca proprio sull’etichetta informazioni su come riciclare correttamente il packaging.
Il mondo del pack può e deve porsi l’obiettivo di essere sempre più sostenibile – in Italia oggi vale 211,2 kg/pro capite, contro una media europea di 174,6 kg/pro capite – ma contemporaneamente è quello che meglio di tutti può raccontare l’impegno sostenibile delle nostre aziende, visto che la quota di riciclo in Italia è pari al 66,3%, ponendoci al terzo posto tra i Paesi più virtuosi in Europa (fonte Eurostat).
Una sfida che il settore deve cogliere, considerando la centralità della sostenibilità nel PNRR: verranno stanziati 69 miliardi per la transizione ecologica e nel documento la parola sostenibilità è citata ben 465 volte.
LE TAVOLE ROTONDE: IL RUOLO DELLA FILIERA NEL CAMBIAMENTO
Le due giornate di lavoro della Future Factory, in attesa di Print4All, hanno permesso, attraverso diverse tavole rotonde, di raccontare la visione e gli sforzi di tutti i protagonisti della filiera del printing. Si sono così confrontati, in momenti dedicati, produttori, brand owner, retailer e stampatori.
In un contesto così complesso, quale è il ruolo per i produttori di macchine?
Gli scenari tecnologici stanno cambiando il modo di fare industria. Quattro le parole emerse chiave emerse nel dibattito: digitalizzazione, sostenibilità, servitizzazione e persone.
La digitalizzazione sta rivoluzionando il modo di fare industria, serve un approccio mentale diverso, investimenti continui in R&D, ma anche propensione alla open innovation. La connessione tra le macchine non solo favorisce l’efficienza, ma cambia anche il modo di produrre e di vendere. La servitizzazione e la possibilità di ibridazione trasformano il rapporto con il cliente in una relazione continua e reciproca, in cui i feedback sono fondamentali per produrre soluzioni inedite e sempre più customizzate e la manutenzione fa parte del pacchetto base di vendita.
Quanto alla sostenibilità, non esistono risposte assolute e valide per tutti, è una questione di equilibri tra necessità produttive, ottimizzazione delle risorse, risparmio energetico. Si tratta dunque di operare le scelte migliori per ogni singolo contesto, scelte in cui sono spesso le persone a fare la differenza.
E qui entra in gioco la quarta parola chiave emersa: people. Perché l’evoluzione continua rende imprescindibile l’interrelazione. La risposta al progresso è oggi la collaborazione di filiera, una sorta di sinergia tra specialisti che coinvolga tutti, da chi fornisce la materia prima a chi realizza e personalizza il packaging, fino a chi lo ricicla. Solo così si potrà trasformare l’industria in un ecosistema virtuoso di apprendimento, in cui si mescolano i vantaggi di materiali ecosostenibili, tecnologie a basso impatto, come per esempio quelle water-based, e comportamenti virtuosi.
Anche per i brand owner l’innovazione senza sostenibilità non può esistere. Ma per fare scelte consapevoli, bisogna sfatare un mito: il costo della sostenibilità non può essere caricato sul consumatore, che non è assolutamente disposto ad accettarlo. La sostenibilità per un brand è dunque in primis una scelta legata alla propria identità, una sorta di codice etico di cui ci si dota, nella consapevolezza che oggi consumatori e investitori sempre più rifiutano l’idea dell’azienda che vende un prodotto senza calcolarne le conseguenze.
Per questo gli sforzi sono massivamente concentrati sul fine vita, sulla possibilità di avere packaging 100% riciclabili, di elaborare nuovi utilizzi creativi degli scarti, come la cellulosa derivata dai fagioli, di proporre nuovi pack che, pur integrando materiali differenti, rendono semplice la separazione e dunque il corretto smaltimento.
Anche per i retailer la sostenibilità è un valore d’impresa, un scelta che, specie nella GDO si concretizza in un concreto contributo al recupero del packaging, ma si allarga anche alla ricerca di nuovi pack (pensiamo alle bioplastiche scelte da Esselunga prima per il confezionamento del latte a marchio) e al tema del food waste, con progetti specifici come l’“Ancora più buoni” di Penny Market, che punta alla vendita a prezzo scontato di confezioni di frutta e verdura solo in parte rovinate e dunque assolutamente ancora adatte al consumo, il cui ricavato viene in parte devoluto al Banco Alimentare.
Gli stampatori vivono invece la sostenibilità guardando a due elementi: la modalità di produzione, dunque la tipologia di inchiostri, ma anche la riduzione di acqua necessaria per il lavaggio e i materiali su cui realizzano le loro personalizzazioni. Il tema del corretto smaltimento e della gestione del fine vita è centrale.
Aiuta per esempio la mono-materialità, perché con tanti materiali diventa più difficile per il consumatore diversificare tutto.
Come proporre un prodotto riciclabile? Lavorando sulla carta e sugli inchiostri, riducendo i passaggi di macchina per realizzare nobilitazioni e orientando concretamente i clienti verso una scelta sostenibile. Anche il concetto di magazzino cambia e accoglie tecnologie per ottimizzare le quantità prodotte.
Infine, per comprendere se il loro settore riesce ad essere davvero sostenibile, gli stampatori propongono di misurare il valore della sostenibilità almeno sulle materie prime.